La Lanterna: il simbolo di Genova
è a Sampierdarena

Sampierdarena, nei secoli scorsi, non fu soltanto luogo di villeggiatura, ma anche zona di battaglia. Secondo gli annali, già nel 1394 ci fu un violentissimo scontro tra Guelfi, condotti da Nicolò Fieschi, e Ghibellini, al comando di Francesco Montaldo. Le scaramucce causarono cento vittime tra la popolazione del borgo.

Un altro fatto di guerra avvenne nel 1684, quando i francesi tentarono uno sbarco sull’ampia spiaggia sampierdarenese ma furono ricacciati in mare dopo violenti scontri dalle milizie della piccola città, comandate da Ippolito Centurione, e da altri uomini accorsi da tutta la Val Polcevera.

Nel 1746, la villeggiatura dei nobili genovesi fu messa a soqquadro dalle soldataglie austriache di Botta Adorno, che a Sampierdarena aveva collocato il suo stato maggiore.

Durante l’imponente assedio del 1800, la cittadina subì ingenti danni, con ville e palazzi distrutti. Il monumento storico più importante cancellato da quella azione di guerra fu la Chiesa di San Martino al Campasso, dove nel 1131 era nato il Comune di Sampierdarena.

 

Il simbolo di Genova è a Sampierdarena

Di certo, la zona dove avvennero gli scontri più cruenti in tutte le battaglie succedutesi nell’arco dei secoli fu “Capo di Faro”, il luogo dove sorge il simbolo di Genova: la Lanterna.

L'erezione di una torre sul Capo di Faro, in passato detto anche “cadefa” può risalire al 1128. Si ignora il nome del costruttore: secondo una leggenda, ad opera ultimata sarebbe stato lanciato nel vuoto dal punto più alto del faro, per impedire che realizzasse altrove qualcosa di simile, oppure - ed è forse la versione più realistica - per evitare che richiedesse il compenso pattuito.

Prima della costruzione della torre, comunque, sullo spiazzo roccioso si bruciava la “brisca”, cioè steli di ginestra raccolti in massima parte a Briscata, in Val Bisagno. Falò analoghi venivano del resto accesi di notte lungo l'arco delle due riviere nei punti ritenuti più pericolosi per la navigazione. E' curioso sapere che quando il mare era particolarmente agitato qualche buontempone si divertiva a soffocare le fiamme, ma non lo faceva affatto per gioco. Infatti, in quei tempi, veniva applicata la legge detta "Ius naufragi" che consentiva a chi arrivava per primo sul relitto di appropriarsi della barca e di tutto quello che conteneva.

Con l'erezione della torre la brisca venne fatta bruciare in gabbie di ferro sospese, ottenendo così una maggiore visibilità dal mare. L’accensione di queste lanterne doveva essere effettuata a turno da tutti coloro che possedevano imbarcazioni.

Solo nel 1320, la Lanterna divenne davvero tale, con la sistemazione di lampade a olio. E pensare che due anni prima, nel 1318, rischiò, addirittura, di essere demolita. Infatti, Guelfi e Ghibellini, o Rampini e Mascherati, per indicarli con l’espressione genovese dell'epoca, si batterono attorno ad essa. Più precisamente i Rampini vi si rinchiusero, e gli avversari li sottoposero ad un bombardamento di pietre per due interi mesi. Trascorso questo periodo senza apprezzabili risultati, i Mascherati iniziarono a demolire le fondamenta della torre. I Rampini dovettero arrendersi, ma a malincuore, poiché senza il timore che tutto crollasse avrebbero potuto resistere all’interno del faro a tempo indeterminato, essendo riusciti ad escogitare uno stratagemma calando una fune dall'alto della torre stessa a una loro galea, oltre il cerchio degli assalitori: un uomo saliva e scendeva intrepidamente, entro una capace tinozza, assicurando il cibo e l’acqua agli assediati. Solo il tempo di eseguire le necessarie riparazioni, e l'assedio si ripeté: questa volta le parti si invertirono e furono i Mascherati a doversi asserragliare all’interno della Lanterna e ad essere, poco dopo, sconfitti.

Fortunatamente fu anche al centro di spettacoli piacevoli, fra i quali intrattenimenti che si svolgevano nel perimetro del porto. Celebri furono i “voli dalla Lanterna”, forse ispirati dall'antico guelfo della tinozza.

Sicuramente, più drammatico fu l'episodio avvenuto nei primi anni del Cinquecento, quando Luigi XII, conquistata Genova, col risarcimento che aveva preteso decise di costruire una fortezza proprio a Capo di Faro. Il piano iniziale prevedeva la demolizione della Lanterna, ma una notevole regalia dei genovesi (esistevano già allora le bustarelle!) convinse l’ingegnere Beusserailhe, incaricato dal re di Francia a disegnare la fortezza, ad incorporarla nell’intero complesso difensivo. Il colosso fu denominato “Briglia" perché doveva essere utilizzato per acquietare i genovesi, ma non servì a molto visto che i cittadini riuscirono ad espugnarla nel 1514, dopo numerosi combattimenti. La Lanterna uscì malconcia dall’assedio e così venne ricostruita dalle fondamenta, ad opera di Giovanni Maria Oliati, nel 1549. Vennero sostituite le antiche merlature con balaustre ed arrivò a raggiungere l’altezza di 127 metri.

Altre vicissitudini minarono la sua solidità, ma riuscì a superarle indenne: tra le altre ricordiamo il bombardamento navale del 1684 effettuato dalla flotta del Re Sole e i combattimenti del 1746 dopo la rivolta di Balilla in Portoria, per chiudere con le incursioni aeree dell'ultimo conflitto mondiale.

La Lanterna fu anche prigione, per ospiti d'eccezione: tra i più famosi il re di Cipro Giacomo di Lusignano, che con la moglie venne tenuto come ostaggio per molti anni e in quelle mura vide la luce, nel 1383,  il loro figliolo chiamato Giano.

Come ultima curiosità, ricordiamo che tra guardiani della Lanterna fu, dal 1449, Antonio Colombo, zio di Cristoforo.

La sommità della Lanterna è raggiungibile mediante 375 gradini e dalla sua cupola viene emanato un fascio di luce bianca a raggi intermittenti per una portata luminosa di 33 miglia.

Attualmente, la Lanterna si può visitare contattando l’Associazione “Porta Soprana” al numero telefonico 010.24.65.346